Dopo mesi di stop a causa dell’emergenza Coronavirus la scuola italiana riparte ufficialmente lunedì 14 settembre
Un momento storico denso di preoccupazioni e polemiche, considerato che portare in classe 5,6 milioni di studenti in sicurezza ha comportato, per molte scuole, uno sforzo organizzativo senza precedenti. Era necessario recuperare con gli studenti lunghi mesi caratterizzati dalla perdita della relazione educativa in presenza bruscamente interrottasi lo scorso marzo.
Al Liceo Giordano Bruno di Roma gli studenti sono entusiasti di tornare a scuola, la felicità del ritrovarsi si manifesta con discrezione nel rispetto delle regole imposte per contrastare la pandemia.
Come lo sbarco dell’Apollo, come Italia-Germania dell’82 o il rapimento Moro e l’11 settembre. Tutti, dentro e fuori dai mondi della formazione, ricorderemo questo primo giorno di scuola del 2020. Ricorderemo dove eravamo, l’aria che tirava, magari anche come eravamo vestiti, la difficoltà a incontrarsi e riconoscersi in uno sguardo coperto da una mascherina.
Ricorderò, ad esempio, che mentre la vita nel mio Liceo ricominciava a pulsare di matricole, veterani, docenti neoimmessi in ruolo e personale Ata, io respiravo nella mia mascherina dentro la sala professori, a disposizione, per via della rimodulazione dell’orario. Doppi turni nella stessa mattinata per consentire a tutti gli studenti di fare lezione. In ogni classe la litania della lettura dei regolamenti anticovid: patto di corresponsabilità e prontuari di comportamento, distanziamento, mascherine, banchi singoli, materiali da non usare, scambi da evitare, attività formative da dimenticare ma anche la gioia del ritrovarsi.
A disposizione ma finalmente tridimensionale dopo i mesi del lockdown e della fase due in cui siamo diventati ciascuno la propria immagine nello schermo e voci intermittenti, interferite, in balia della velocità o della lentezza della rete.
Riavvolgendo il nastro dei decenni, altri primi ottobre “storici” (fino al 1976 era quella la data fatidica della ripresa), più circoscritti di questo come impatto emotivo ma carichi di conseguenze, furono quello del 1961 quando entrò in vigore la scuola media unica. E quello del 1977, il primo senza le classi differenziali, degli svantaggiati dal punto di vista psico-fisico o sociale. Molti di loro li abbiamo riperduti durante il lockdown, i più fragili tecnologicamente e socialmente che non hanno retto i modi della didattica a distanza, il 12% secondo l’Istat.
E’ il primo giorno più atteso, quasi un paradigma della riapertura di un paese scosso dagli effetti della prima e dall’attesa della seconda ondata. Se la scuola riuscirà a vincere la sfida della riapertura sarà possibile riaprire tutto. Ma a voler trovare un paragone a memoria d’uomo o donna romani che sia davvero commensurabile a oggi viene in mente solo il primo ottobre del 1944. I tedeschi erano scappati cinque mesi prima e fu il primo giorno di scuola senza saluti romani e senza l’incubo dei bombardamenti (la guerra s’era spostata qualche centinaio di km più a nord) dopo più di vent’anni di regime. Ho cercato su internet. Nei mesi successivi alla Liberazione molte scuole di Roma erano occupate dalle armate alleate, altre erano state occupate dalle famiglie di sfollati che avevano perso la casa in seguito ai bombardamenti. Le finanze comunali erano dissestate. Il freddo di quell’anno, la mancanza di vetri alle finestre, la frequenza scarsa dei bambini a scuola che si raffreddavano. E i turni.
10 gennaio 1945: “Siamo ritornate a scuola dopo la breve interruzione delle vacanze di Natale. Il nostro direttore sig. F. per diminuire il disagio dal freddo di un inverno particolarmente rigido, ha fatto del tutto per far mettere i vetri in parecchie aule. Così ha stabilito che ogni classe farà lezione un giorno sì e uno no dalle due alle quattro e mezzo (per il turno pomeridiano) così tutte avremo il vantaggio di rimanere in aule provviste di vetri”.
Coincidenza straordinaria anche se – lo abbiamo ripetuto spesso durante il lockdown, il Covid-19 non è una guerra. La pandemia, a differenza dei bombardamenti, non distrugge l’apparato produttivo, quello è fiaccato da decenni di tagli. Così anche adesso ci alterneremo negli spazi, divideremo e condivideremo questa età dell’incertezza con un occhio al bollettino dei contagi e l’altro al tempo scuola finalmente ridiventato consistente, tangibile, denso di relazione.
Finalmente scuola, dunque, in attrito con il resto del mondo, attraversando lo spazio e vivendo un’esperienza piena di formazione e di nuova consapevole cittadinanza.